Anche leggere è un gesto che rivela chi siamo. C’è chi attraversa un libro come attraversa la vita: di corsa, senza toccare nulla. E poi c’è chi si ferma, guarda, ascolta. Questo libro non cerca attenzione: la merita. Perché non è stato fatto per intrattenere, ma per essere abitato, come un campo da gioco sotto il sole.
BASKETBALL REAWAKENING
‘Se ho visto un po’ più lontano è perché sono salito sulle spalle dei giganti’.
- Isaac Newton
‘Ehi, c’è un tizio che è salito sulle nostre spalle’.
- Giganti
Un 'Coffee Table Book' - un libro nato, prima di tutto, per raccontare a me stesso ciò che non posso vedere ma che sento profondamente: il Mistero del Basket. Tutto quello che dovevo fare era stare a bordo campo e provare a dare a quel mistero un volto visibile. Ho iniziato a cercare dentro di me parole e immagini visive che potessero raccontare la storia nascosta - un compito che credevo impossibile. Anche se scrivere può essere più facile ora, con l'età e l'esperienza, era ancora incredibilmente difficile dare forma visiva a un sentimento.
Volevo amplificare quei momenti silenziosi e privati di intimità - o la sua assenza. Sono attratto dal catturare i momenti piccoli, sottili, apparentemente insignificanti e presentarli come grandiosi, significativi e pieni di vita. Il linguaggio del corpo, gli occhi consapevoli, sempre fissi su qualcosa appena oltre la cornice del campo, suggeriscono interiorità, complessità e una vita che continua anche dopo che lo spettatore se n'è andato.
Tutto parte da uno ‘sguardo’ che ha imparato a vedere, anche dove tutto sembra spento - e da un campetto, l’ultimo visitato: quello di Mariano Comense, Como Italia. Un luogo attraversato da pregiudizi e preconcetti, spesso liquidato con superficialità o giudicato con arroganza. Eppure, dentro questa nebbia voluta, si alza una voce silenziosa: è il grido libero e ostinato di ragazzi che non abitano i margini geografici, ma quelli mentali di alcune ‘visioni’ del paese. Ma non parla solo di un luogo. Racconta anche di molti altri campetti sparsi nel mondo, diversi e lontani, eppure simili nella loro sete di espressione, identità e riscatto.
Queste pagine sono un gesto di ascolto. Un atto di gratitudine verso tutte quelle voci che, nel silenzio, continuano a giocare, a resistere, ad esistere. Questo libro è un invito a portare la saggezza nel mondo - quella saggezza che sa ascoltare, che sa vedere, che sa liberarsi dai recinti mentali in cui ci rinchiudiamo. Parla del mondo vero, quello che spesso non riusciamo a scorgere, o che rifiutiamo di vedere, perché troppo distante da ciò che ci è stato insegnato a considerare reale. Ma nessuna di queste parole, nessuna di queste intuizioni nasce da me. La saggezza è già qui, da sempre. Intessuta nei gesti silenziosi e nei volti dimenticati di generazioni senza numero - trasmessa, praticata, sussurrata e vissuta da saggi, grandi e piccoli, molti dei quali camminano accanto a noi invisibili, inascoltati, resi muti dal nostro pregiudizio, annebbiati dalle distrazioni del mondo. Vedo anime luminose passare tra la folla con la grazia discreta dell’ordinario. Nemmeno loro sanno di essere straordinarie. No, non sono io a possedere la saggezza. Ho solo provato a tradurla in parole che perfino io potessi comprendere. Sono soltanto un tramite, un interprete per i saggi. In verità, sono loro i veri autori di questo libro: io sono solo colui che batte sulla tastiera, che imprime immagini sulla carta, che tenta di dare forma a ciò che da sempre esiste.
- Desidero ringraziare i co-autori del libro, Fabio La Rosa, Riccardo Sironi, Walter Ferraioli, per il contributo dato per il libro e la passione che hanno per la pallacanestro ed i campetti.
- I miei più sentiti ringraziamenti vanno a tutti i ragazzi dei campetti da basket da strada, incontrati durante i miei viaggi in diversi paesi, che mi hanno donato non solo le loro interviste e i loro pensieri, ma soprattutto frammenti preziosi della loro anima - espressioni intime e autentiche che ho avuto l’onore di custodire e riportare nelle pagine di questo volume - eravate lì anche in silenzio.
- Grazie a Gus Andy il cui occhio ha trasformato attimi fugaci in echi duraturi. Le tue fotografie hanno dato forma all’invisibile.
- Sono profondamente grato a tutti i ‘grandi’ allenatori che ho incontrato lungo il mio cammino, dai quali ho appreso non solo conoscenze tecniche, ma anche una comprensione spirituale - pratiche di meditazione, respirazione e quiete interiore.
- Ultimo, ma non meno importante, ringrazio gli Amici che si sono presi il tempo di leggere interamente le mie prime bozze e hanno offerto molti suggerimenti utili, tra cui ...
A tutti loro - e a quelle voci, gesti e presenze non nominate che hanno silenziosamente plasmato questo viaggio - il mio più sentito grazie. Questo libro esiste grazie a voi - porta molte mani e cuori.
Anche leggere è un gesto che rivela chi siamo. C’è chi attraversa un libro come attraversa la vita: di corsa, senza toccare nulla. E poi c’è chi si ferma, guarda, ascolta. Questo libro non cerca attenzione: la merita. Perché non è stato fatto per intrattenere, ma per essere abitato — come un campo da gioco sotto il sole.
Non è un libro sul basket. È un libro sulle cose che sussurriamo al campo quando nessuno ci ascolta. Ci sono silenzi che insegnano. L’asfalto conosce ogni storia. La fatica la scrive. Il cuore la ricorda.
Sulla copertina, una matita consumata riposa sul parquet. Non una penna, non un oggetto indelebile: una matita. Le storie nei campetti non nascono per essere scolpite, ma vissute. Sono fragili come segni che possono essere cancellati da chi guarda senza capire, da chi osserva senza ascoltare. Eppure, per chi quei campi li ha abitati davvero, nulla si cancella: ogni passo lascia un’eco, ogni respiro un contorno, ogni tentativo una traccia.
E il tempo, passando, non porta via nulla: rende più nitide le domande, più profonde le memorie, più preziosi gli istanti che non avevamo capito mentre li vivevamo.
Un campetto non giudica. Accoglie. Trattiene il suono delle scarpe, le risate nascoste, gli errori che nessuno ha visto, i tentativi che non abbiamo avuto il coraggio di raccontare. È lì che si intrecciano paura e coraggio, dubbio e scoperta. È lì che impariamo chi siamo davvero, prima ancora di sapere che lo stavamo imparando.
Questo libro nasce da quei passi, da quei respiri, da quelle domande lasciate sospese nell’aria del tramonto. Non racconta il gioco: racconta ciò che il gioco rivela.
Ricordo il mio primo momento sui campetti USA: la sensazione di stupore era indescrivibile. Mi trovavo in un mondo nuovo, quasi alieno ma che mi ha fatto apprezzare anche le piccole cose della vita quotidiana. Ho incontrato persone che probabilmente non avrei mai conosciuto. Ho vissuto giornate infinite e ricche di esperienze. Fu lì che compresi come la vita prende forma in base a come la guardi. Ho conosciuto persone con storie incredibili che mi hanno fatto comprendere quanto spesso i nostri limiti siano solo auto-imposti perché non conosciamo altro o non ci diamo l’opportunità di scoprire altro. In fondo, ciò che ci sembra impossibile è solo ciò che non abbiamo ancora provato davvero.
Cercavo l’avventura, il cambiamento radicale e la sfida di adattarsi ad un ambiente completamente diverso, ma la sfida non era solo quella di adattarsi ma anche di essere accettato e di far parte di un luogo così eccezionale. Il ‘basket’ in Italia ha regole scritte e non scritte, convenzioni e pratiche che sono tenute ‘in essere’ da persone, ‘leggi, regole del gioco e un organo di governo’. Sentivo di dover 'dipingere tra le righe' per cambiare le cose, per celebrare il basket e farlo uscire dall'ombra del ‘dovuto convenzionale’. Ma ero preoccupato di cosa avrebbero pensato gli altri allenatori e preparatori se fossi andato contro il modo stabilito di fare le cose. Così mi sono spostato ai margini del basket convenzionale. A volte, per rimanere fedeli a sé stessi, bisogna scegliere di stare ai margini.
Ho iniziato a lavorare nel basket d’azione e d’avventura, una frontiera dove sembrava che le regole fossero ancora in fase di scrittura. Questo era il mio 'street basketball', una dimensione dove non sto scappando da qualcosa, piuttosto, sto cercando qualcosa. Sono sempre alla ricerca di nuove esperienze. Il mondo è troppo grande per restare sempre nella propria zona di comfort. Mettersi in gioco è fondamentale per scoprire i propri limiti. Solo vivendo l’incertezza impariamo a riconoscere ciò che conta davvero.
Il processo cestistico andrebbe osservato come si osserva la tela di un quadro non ancora dipinto. Chi osserva un quadro dipinto non si concentra sull’ordito della tela, ma su forme, colori, prospettive. Si fa attrarre dalle suggestioni tra abbinamenti cromatici e formali che offre il pittore, dal racconto visivo che vive nel quadro. Ma qualsiasi visione senza un supporto, non solo la tela, fosse pure l’aria, sarebbe impossibile. Ogni visione, anche la libertà, ha bisogno di un appiglio, di un punto d’appoggio. Con questo lavoro vorrei raccontare non solo la pallacanestro ma l’uomo, la sua organizzazione emotiva. Vorrei raccontare, ad esempio, che le nostre esperienze intime e di relazione si attuano con un procedere un passo alla volta. Possono certo sfumare l’una nell’altra, ma non le possiamo provare contemporaneamente. Voglio mostrare il loro potere come una debolezza e la loro debolezza come un potere, mirando a smantellare i binari semplicistici che dominano il discorso pubblico. Un esempio? La paura di non essere accettati, una debolezza, può diventare la forza di trovare la propria strada ai margini. Il mio approccio non è quello di dettare l’interpretazione al lettore, ma di provocare pensiero ed introspezione sulle complessità dell’identità e della connessione umana.
Ritratti raramente esposti.
L' 'oro' del Basket.